Descrizione
Statua Mossi del Burkina Faso. Pezzo antico, di oltre 70 anni.
Questa figura maschile, scolpita nel legno secondo la tradizione del popolo Mossi del Burkina Faso, si presenta con linee essenziali e una potente stilizzazione formale. Il corpo allungato, le gambe ricurve e il busto arcuato trasmettono una forza primitiva ed evocativa. Le braccia, tese e distanziate dal tronco, enfatizzano la simmetria e l’equilibrio della scultura.
Il volto è semplice, scavato da tratti profondi e incisivi: occhi incavati, naso prominente, bocca assente. Ma ciò che colpisce immediatamente lo sguardo sono i due chiodi metallici conficcati negli occhi – un gesto forte, forse rituale, che può suggerire una volontà di silenziare la vista fisica per amplificare quella spirituale. Un simbolo, forse, di protezione o di cieca devozione, oppure un atto magico volto a immobilizzare lo spirito.
La superficie presenta una patina naturale d’uso, con leggere crepe da essiccazione che testimoniano l’età e l’autenticità dell’opera. Tracce di pigmenti ocra suggeriscono un utilizzo cerimoniale. Statue come questa venivano custodite nelle case degli spiriti o utilizzate dagli indovini per comunicare con il mondo ancestrale.
Il popolo Mossi, animista, venera il dio creatore Wendé. Ogni individuo è dotato di una sig̀ha, un’anima legata a un animale totemico, che accompagna il suo destino spirituale. In questa scultura, l’essenzialità delle forme lascia spazio a una potenza simbolica che va oltre la materia.
Il popolo Mossi, che conduce una vita da contadini e pastori nel cuore del Burkina Faso, è in realtà composto da diverse etnie che formano due distinti gruppi sociali. I Nakomse detengono il potere politico. Le popolazioni indigene che i loro antenati sottomisero nel XV secolo quando invasero la regione sono attualmente chiamate Tengabisi. I leader religiosi provengono da questa popolazione eterogenea. Tra i Tengabisi, solo i contadini (Nioniose), che sono molto numerosi, e i fabbri (Saaba) utilizzano maschere multiple (wando, sing. wango), che espongono durante l’omaggio annuale ai defunti e conservano il resto del tempo sull’altare dedicato agli spiriti degli antenati. Le maschere tradiscono influenze diverse a seconda della regione. Ecco perché si distinguono cinque stili, che hanno preso il nome dai regni Mossi: Ouagadougou, Yatenga, Risiam, Kaya e Boulsa. Questa maschera facciale è correlata allo stile Ouagadougou, che ricorda le opere dei Lela e dei Nuna (Gurunsi), popoli confinanti che sono anche le popolazioni originarie del sud-ovest e del centro della regione Mossi. Oltre a numerosi tipi zoomorfi, questo stile include maschere antropomorfe che rappresentano una donna albina (wan-mwega) o Fulbe (wan-balinga). La maschera wan-balinga, che ha una sovrastruttura a tre lame e un pizzetto, si distingue dalla maschera wan-mwega solo per il suo colore: il viso è tinto di nero e non di rosso. Evoca una figura femminile mitica, vale a dire Poughtoenga (“la donna barbuta”) che, in quanto figlia di un Nioniose e madre del primo sovrano Mossi, Oubri, è considerata dai Nioniose e dai Nakomse come un’antenata comune che svolge un ruolo unificante.
Oggetto dalla grande patina.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.